Non luoghi

I passi nel vento

Disegno Post Paolo 27-01-2014

Non ricordo esattamente come andò la cosa. Quel che è certo, è che tutto il paese raccontò la storia per molto tempo, e ognuno a modo suo aggiungendo qualche verità sfuggita ai più.

Grosso modo, il fatto, che ci crediate o no, si svolse così.

Era una mattinata abbastanza normale, su questo concordano tutti. Normale nel senso che era una di quelle mattinate invernali, di gennaio, nelle quali i contadini vincono il freddo, umido e pieno di vento e con tutta la forza che hanno in corpo, una forza che viene dalle loro storie millenarie, vanno in paese a cercar fortuna, con quel passo lento che affonda nella saggezza più antica. Appena giunti, con le prime luci dell’alba, estraggono con cautela once piene di ogni ben di Dio e iniziano a venderle. Il lavoro di un intero anno, un intero raccolto, è pronto a dare i suoi frutti. Giorni e giorni di lavoro si trasformano così nel nuovo cibo.

Quello stesso mattino, mi svegliai con le strazianti grida di un maiale ormai prossimo al macello. Un nugolo di persone si accalcava intorno all’animale e le esperte lame del boia erano pronte a scivolare lungo quel collo ansimante. La ferocia di quei gesti efficaci, si univa tuttavia ad un inspiegabile rispetto.
Quando mi resi conto dell’ora, capì subito che avevo dormito troppo. Le sette e trenta.
Tutti in paese sapevamo che era arrivato il gran giorno nel quale lo straniero di cui tanto si vociferava sarebbe finalmente arrivato.

Nessuno sapeva da dove veniva, ma le sue storie lo avevano preceduto e avevano raccontato molto di lui.
Si diceva che una volta era andato sino alla capitale, durante la orribile guerra dei 20 anni e quando le truppe di entrambi gli schieramenti erano ormai pronte a darsi l’ultimo assalto mortale, la guerra era cessata. Così, d’improvviso, senza che nessuno sapesse perché o avesse dato alcun ordine in tal senso.

Un’altra volta, aveva partecipato a quella famosa spedizione lunga 5 mesi. Si era perso anche lui, insieme alle centinaia di persone che riempivano le quattro grandi imbarcazioni costruite con quell’inaffondabile legna orientale. Poi un giorno era tornato, quando ormai tutti li avevano dati per morti. Solo altri dodici marinai si erano salvati ma le barche, intatte, grondavano di ogni tipo di ricchezza: tesori antichissimi, gemme mai viste e pietre preziose dai magici poteri, tutto trovato chissà dove.

Come si chiamava quell’uomo? Magari potessi saperlo.
Alcuni lo chiamavano Fortuna, altri Disgrazia, i più semplicemente Destino. Anche se tutti sospettavano che non fosse altro che un uomo, uno di quei vagabondi che cercano la vita in ogni angolo del mondo.
Quello di cui tuttavia eravamo sicuri, è che in qualunque posto andasse accadeva qualcosa di inspiegabile.  Cambiava l’ordine naturale degli eventi, distorceva il tempo, annichiliva i progetti che tutti si affannavano a portare avanti.

Era come se muovesse i suoi passi nel vento. Alcune volte sistemava le cose, altre portava disastro. E più frequentemente, entrambe le cose insieme.

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